Stiamo vivendo una transizione a un periodo storico in cui la musica dal vivo sarà un’esperienza diversa nei modi e nelle intenzioni?

Assembrarsi in un club o in un parco è in parte usanza figlia dell’estetica del rock’n’roll, di quando la musica aveva una spinta e un ruolo sociale, di rottura, che faceva sì che ci si potesse anche spaccare un dente pogando sotto palco o che comunque radunarsi contribuisse a fomentare alcuni cambiamenti generazionali. C’è anche un po’ di questo sentimento nei racconti mirabolanti di due ottime memorie storiche come Gianluca Giusti (Panico Concerti, uno dei due tastieristi dei Mariposa e co-fondatore di Trovarobato) e Alberto Antonello (Albi SoundPark, storico dj e promoter), storie che oggi a suon di decreti anticovid si fanno ancora più mitologiche, passati prossimi che diventano passati remoti.

Dopo il confronto con Carlo Pastore su Whatsapp mi è venuto un dubbio: era quella di ammassarsi nel fango o in uno scantinato una tradizione che ha perso la motrice culturale che l’aveva fatta nascere? L’impressione è che questa sia una fase in cui il rock’n’roll non ha più nessun ruolo di denuncia, di lotta, e senza questi ingredienti diventa un esercizio fuori moda, come suggerisce Carlo dei Post Nebbia, nato nel 1999 che guarda caso si riempie le orecchie di hip hop, nuova sede di determinate tematiche di protesta.

Francamente io spero tanto che godere della musica dal vivo torni ad essere un rito collettivo lontano da file ordinate di sedie. Rimane da capire se sia perchè il mio amore per la musica è nato nell’assembramento o perchè senza assembramento non c’è, semplicemente, la stessa emozione.

Lo scopriremo presto.

Sottoterra